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Delle due settimane di fuoco passate nel deserto del Nevada, volando intorno all’Area51 (quella famosa per i dischi volanti), ricordo l’emozione e l’impegno che tutti mettemmo per dimostrare che eravamo pronti a svolgere con successo operazioni complesse e fare in modo che questo addestramento avanzato diventasse un iter per tutti gli equipaggi a seguire. E ricordo bene come ci siamo arrivati, quando negli anni ottanta un vero e proprio Tornado si è “abbattuto” sulla nostra Aeronautica Militare, trasformandoci in pochi anni da semplici comparse ad attori protagonisti.

Da due anni ero una Pantera del 155° Gruppo CB (caccia bombardieri) quando, a fine agosto ’83, arrivò l’ordine di prepararci per un possibile rischieramento con otto F-104S sulla base inglese RAF Akrotiri, Cipro e da lì svolgere missioni di supporto al Gen. Angioni, Com.te dell’Operazione Libano2.

 

155° Gruppo CB

ITALCON, così si chiamava il contingente italiano, era tornato in Libano dopo il massacro di Sabra e Chatila a Beirut, ma non era un’operazione di guerra e neanche sotto egida ONU come la Libano1, ma un intervento eminentemente nazionale, come forza di interposizione, richiesto dal governo libanese ad alcuni paesi, fra cui l’Italia, insieme a Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna.

La minaccia per i nostri incursori del Col Moschin e i marò del Battaglione San Marco, proveniva da una cinquantina di chilometri a est di Beirut: la Valle del Beqā, dove saremmo potuti intervenire.

Questa era l’idea e con gli interessi politici in gioco, c’era la concreta possibilità che il “Cacciatore di Stelle(F-104), veloce ma poco manovriero, venisse impiegato nell’infelice ruolo di appoggio tattico ravvicinato.

Ai primi di settembre un G-222 della 46^ Brigata Aerea di Pisa, con una delegazione di Specialisti di Gruppo e personale del Ministero Aeronautica, con a capo il Gen. Stelio Nardini (futuro Capo di Stato Maggiore), partì per un sopralluogo tecnico/operativo/logistico e stabilire la fattibilità di operare coi nostri velivoli da quella base.  Al loro ritorno iniziarono i preparativi.

Ricordo il gran lavoro dei nostri Ufficiali Tecnici, Albertino e Vittorio, impegnati a preparare gli aerei facendo sostituire gli MFC (main fuel control, i “carburatori” dei nostri motori) con altri più adatti per il carburante disponibile a RAF Akrotiri, il JP-8.

Mentre i motoristi si davano da fare sui J-79 (motore dei centoquattro), gli armieri avevano riesumato dal deposito munizioni i poco visti e anche poco usati, razzi SNIA da 50mm, da inserire in lanciatori sub alari da 25 razzi l’uno. Razzi di quattro chili e mezzo a combustibile solido senza guida, che in due secondi accelerano fino a 2.500 km/h e per inerzia proseguono fino al bersaglio.

Inizialmente si era pensato di usare razzi Zuni da 5 pollici lunghi due metri e mezzo, ma perplessi dal combustibile gelatinoso che trasudava dalle giunture fra la testa di guerra e il resto del razzo, qualche domanda sorgeva spontanea: i razzi sarebbero esplosi arrivando a destinazione o direttamente sotto l’ala appena tirato il grilletto? …e se anche fossero partiti, sarebbero andati dritti nella direzione dove puntavano o, come diceva qualcuno che aveva sparato quelli da 2 pollici, avrebbero seguito traiettorie errabonde come i “fischioni” di Capodanno?

Questi razzi, in effetti, erano stati messi da parte dopo l’ultima volta che si era provato a spararne  qualcuno inerte al poligono, constatando che a volte non tutte le alette si aprivano dopo il lancio e il razzo, appena uscito dalla razziera, partiva storto rischiando di sbattere sotto l’aereo, motivo per cui erano tornati in deposito. Quelli da cinque pollici finirono invece in una buca e fatti esplodere dove non avrebbero causato danni “collaterali”.

Con questi dubbi e molti altri, noi giovani piloti ci davamo da fare con la pianificazione seguendo le indicazioni degli anziani di gruppo, ma nei loro volti traspariva un’ancora più grande preoccupazione per quest’insana idea che stava prendendo corpo.

Fra le altre cose, c’era da portare la firma del coniuge che autorizzava il padre dei propri figli (minorenni) a partecipare a questa operazione di guerra non dichiarata… non tutte firmarono e qualcuno sarebbe dovuto rimanere a casa.

Tutto finì pochi giorni prima di partire.

Considerata l’inadeguatezza dei nostri aerei in quel ruolo, il tipo di armamento disponibile e senza adeguate contromisure difensive a bordo, queste missioni sarebbero state un suicidio e sentite le obiezioni di chi sarebbe diventato, di lì a poche settimane, il nostro prossimo Com.te di Gruppo, Valter: “…non mando a morire i mie piloti!” (affermazione che gli costò un ritardo nell’incarico di comandante), avendo espresso il parere degli armieri, ufficiali tecnici e suo personale, lo Stato Maggiore Difesa se ne fece una ragione e cancellò l’idea di fornire supporto aereo con gli F-104.

Sollevati da questo impegno, tornammo ai nostri voli d’addestramento nel vero ruolo di Caccia Bombardiere e non in quello che avevamo appena evitato di fare sul serio.

La crescente tensione di quei giorni, i dubbi, l’ansia di dover affrontare una situazione per la quale non eravamo preparati, per giunta in un ambiente sconosciuto e con armi inefficaci, fece meglio comprendere il motivo per cui i piloti americani, già da qualche anno, si addestravano nel deserto del Nevada in un’esercitazione chiamata Red Flag (bandiera rossa).

La Red Flag è nata per l’inaccettabile prestazione degli equipaggi nei combattimenti aria-aria durante la guerra del Vietnam rispetto alle guerre precedenti.

Durante i duelli aerei, avvenuti in quei cieli tra il ’65 e il ’73, il rapporto tra aerei nemici abbattuti e numero di aerei propri persi a causa di caccia nemici, era di 2,2:1 (nel giugno e luglio ’72 il rapporto era addirittura sceso a 1:1) e il motivo principale era la mancanza di addestramento al combattimento contro aerei diversi dai loro.

Altri furono abbattuti dai Sam (surface to air missile, missili terra-aria) e i numeri dicevano che le perdite maggiori avvenivano durante le prime dieci missioni: dovevano fare qualcosa.

Quel qualcosa era una esercitazione più realistica possibile, della durata di due settimane (10 missioni), condotta in un ambiente sufficientemente ampio, con la “minaccia” di aerei di diverso tipo e con reali obiettivi da colpire con del vero armamento.

La nostra Aeronautica Militare, coi problematici AMX Ghibli da poco arrivati ai reparti, gli anziani F-104, MB-339K e G-91, oltre a non avere capacità di rifornimento in volo per arrivare fin là, non avrebbe mai potuto partecipare ad una esercitazione così complessa e i motivi erano diversi.

Oltre al sistema AAR (air-to-air refueling, rifornimento in volo), ai nostri aerei mancava un sistema di navigazione preciso, non c’era un computer di tiro per colpire con precisione gli obiettivi ed erano senza adeguate contromisure per non essere abbattuti.

In queste condizioni il pilota è già abbastanza impegnato a seguire la rotta e lo sarebbe ancor di più trovandosi in un territorio a lui sconosciuto, senza nessun preavviso di eventuali intercettori o missili in arrivo e, qualora riuscisse ad avvistarne uno in tempo, dovrebbe evadere la minaccia e tornare poi in rotta. Infine, con le restanti risorse mentali, colpire l’obiettivo al primo colpo (scopo primario).

In quegli anni, senza le necessarie tecnologie, potevamo solo continuare ad esercitarci in missioni BBQ (voli a bassissima quota), simulare attacchi su obiettivi terrestri senza la certezza di averli colpiti e volare periodicamente a Maniago (Pn) per un eccitante poligono di tiro… fino a quattro velivoli, uno in fila all’altro, cercando di piazzare sul bersaglio una Mk-76 o una Mk-106 (piccole bombette da esercitazione) utilizzando un mirino proiettato davanti sul blindo-vetro e regolato a mano dal pilota a seconda del tipo d’arma e parametri d’attacco. 

 

Mk-106 da 5kg (11lbs)

 

Mk-76 da 12kg (25 lbs)

 

Vulcan 20mm

La giostra avveniva senza essere disturbati dal nemico e dopo i giri di bombardamento (il dispenser  poteva contenere fino a 6 bombette), si passava al mitragliamento sparando con il cannone montato in fusoliera, un Vulcan calibro 20mm. Corte raffiche di una trentina di colpi l’una, mirando a un telo di 3mt x 3mt per centrarlo con quanti più colpi possibile.

Terminato il poligono, si tornava a casa per fare quattro “capriole” in formazione sul cielo campo oppure simulare un attacco all’aeroporto prima di atterrarci.

Questo va bene per l’addestramento basico, ma non basta per ciò che veniva richiesto nei complessi teatri di guerra che andavano delineandosi con il Patto di Varsavia a ridosso dei paesi della NATO.

Un primo passo

Il ragionamento sarebbe semplice:

Il bombardiere deve arrivare sull’obiettivo e colpirlo.

Ma diventa più complicato se si aggiunge:

Il bombardiere deve arrivare sull’obiettivo e colpirlo, superando le difese nemiche.

Basta rivedere i vecchi filmati e documentari della 2^ Guerra Mondiale, quando grandi formazioni di bombardieri erano chiamate a volare in profondità nel territorio nemico, spesso senza scorta perché i caccia non avevano abbastanza autonomia, subire quindi gli attacchi dei caccia nemici e il fuoco della flak (contraerea tedesca) fin sopra l’obiettivo e lungo la rotta di ritorno.

I bombardamenti avvenivano da 6-7-8.000 metri d’altezza, gli aerei non erano pressurizzati, a bordo c’erano poche bombole d’ossigeno e gli equipaggi volavano per ore a temperature sotto-zero, mantenendo comunque la formazione per fare “stormo” e difendersi meglio dagli attacchi aerei, oltre che coprire l’area dell’obiettivo con i famosi bombardamenti a tappeto, necessari per compensare la scarsa precisione.

Già poco manovriera, nella parte finale dell’attacco la formazione poteva effettuare solo piccoli aggiustamenti di rotta seguendo il Leader che, ricevendo le indicazioni dal suo puntatore, al momento giusto dava l’ordine di sgancio per tutti mentre la contraerea continuava a tartassarli di colpi.

Molti rientravano malconci, quasi sempre ne mancava qualcuno all’appello e solo in pochi tornavano indenni dalla missione, dove per indenni s’intende con qualche buco in parti non vitali dell’aereo.

Pare che fu durante quei raid che venne coniata l’espressione, ormai d’uso comune: 0-K, dove lo “0” è un numero, cioè Zero Kills (nessuna perdita).

Il più grande raid aereo mai registrato prima risale al marzo del ’45. Oltre 1.300 bombardieri, scortati da più di 700 caccia, partirono da diverse basi del Regno Unito per raggrupparsi e distruggere la fabbrica di carri armati e lo scalo merci di Berlino. Nel raid, nonostante la Luftwaffe fosse oramai agli sgoccioli, una trentina di bombardieri e caccia di scorta non fecero ritorno, alcuni abbattuti lungo la rotta dai nuovi e veloci caccia Me-262 a reazione, altri colpiti dalla contraerea.

Le difese aeree della città e la presenza di qualche nuvola, non consentirono al puntatore d’inquadrare bene i punti al suolo e questo rese ancora meno preciso il bombardamento. Il risultato fu che più di 3.000 tonnellate di bombe finirono fuori bersaglio, causando molte vittime fra i civili.

Nei successivi quarant’anni le tattiche d’attacco si sono adeguate alle prestazioni dei velivoli e a sistemi d’arma sempre più precisi. Così anche le difese aeree, ma i princìpi del Potere Aereo sono rimasti gli stessi.

Ai Reparti

Per una serie di circostanze, una volta terminati i quattro anni d’accademia a Pozzuoli (Na), anziché seguire il normale iter presso le scuole di volo italiane (Lecce e Amendola), il mio corso fu spedito negli Stati Uniti e, dopo un anno di addestramento in basi militari del Usaf, tornare in Italia fu come fare un passo indietro: troppa burocrazia e la coperta sempre corta per fare tutto come andrebbe fatto.

Questa era la realtà e ci volle un altro anno per completare l’iter di addestramento, transitare sugli aerei di prima linea in dotazione ai reparti da combattimento ed essere assegnato ad un Gruppo di volo operativo.

Per chi andava ai Caccia la trafila era più o meno la stessa: G-91T al 32° Stormo, TF-104 al 4° Stormo, F-104G al 3° Stormo e finalmente, per me ed altri 2 del mio corso, la destinazione finale: 51° Stormo di Istrana (Tv) coi mitici F-104S. Titti ai Pluto del 22° Gruppo Caccia Intercettori, Masu ed io alle Pantere del 155° Gruppo Caccia Bombardieri.

Per il ruolo specifico dei precedenti Stormi, in particolare dei Gruppi nei quali ci eravamo addestrati, non si parlava di formazioni tattiche, manovre difensive o mutuo supporto, ma ai Reparti operativi si respirava un’aria diversa e noi giovanotti, entusiasti per quello che avevamo visto e sentito fare dai piloti americani, trovammo terreno fertile per stuzzicare la curiosità dei piloti più anziani, discutendo delle tattiche da sviluppare per stare al passo coi tempi.

Nel giro di qualche mese arrivarono al Gruppo altri “americani”, poi altri ancora e durante i briefing con i piloti più esperti, consapevoli della situazione, si parlava sempre più di come avremmo potuto migliorare le tecniche del volo in formazione e iniziammo a volare missioni gradualmente più elaborate…. e si sa, l’appetito vien mangiando.

Ancora con gli F-104S, studiando le formazioni tattiche a 2, 3, 4 velivoli e copiando dagli anglosassoni le manovre di reazione alle minacce, studiammo le geometrie di volo per le velocità e capacità di manovra dei nostri Spilloni (F-104S), stabilimmo le chiamate radio per  sfruttare il mutuo supporto e, anticipando un po’ i tempi in Italia (com’è consuetudine delle Pantere Nere), coniammo i nick-names.

I nick names (soprannomi ancora oggi in uso fra di noi) nacquero per dire immediatamente all’uomo giusto, la manovra giusta da fare al momento giusto. E così, storpiando un po’ i nomi o semplificandoli dove necessario, al Gruppo comparvero i vari Papà, Ivo, Aldo, Bruce, Uber, Marinazz, Masu, Crazy, Puffo, Gavino, Bobo, Lungo, Bio, Sodo, Naso, Schulz… ecc.

Basti pensare alle formazioni Gorilla, dove diverse formazioni si raggruppano per formare un’unica unità d’attacco. Ogni formazione ha un suo nominativo e ogni aereo della formazione un numero che identifica la sua posizione.

Avendo stabilito che in caso di minaccia si reagisce in sezioni di due, mentre gli altri proseguono per completare la missione, la sezione sotto attacco dovrebbe trasmettere, per esempio: “Missione 155-numero 3, hai un bandito alle ore otto. 155 -numeri 3 e 4, viriamo stretti a sinistra”…ma sapendo già chi c’è sull’altro aereo, in situazioni concitate non viene istintivo chiamare il nominativo della formazione e il numero del compare che ti vola un paio di chilometri più in là.

Meglio far sapere subito a chi è su quell’aereo cosa deve fare: “MARINAZZ, TALLY ORE OTTO ALTO, HARD LEFT-HARD LEFT!” (nemico alla nostra sinistra più alto, viriamo stretti a sinistra!) o se la minaccia arriva da dietro: “CRAZY, TALLY ORE SEI, CROSS TURN-CROSS TURN…GO!” (nemico dietro di noi, virata ad incrocio…ora! Iniziando una virata stretta uno verso l’altro, incrociandoci per mettere in crisi chi cercava di collimarci) …e così via per ogni tipo di situazione.

Coi nomi di battaglia diventa tutto più chiaro, immediato e con meno rischi di dire la cosa giusta da fare… ma all’uomo o alla formazione sbagliata.

Un secondo passo

Fin dagli anni ’70 i Gruppi caccia si rischieravano due volte all’anno, per un paio di settimane, sulla base militare di Decimomannu (Ca) in Sardegna, dove ha sede il Reparto Sperimentale e Standardizzazione al Tiro Aereo.

I bombardieri svolgevano una campagna intensiva di tiri al poligono di Capo Frasca, nel Golfo di Oristano (bombe da esercitazione e mitragliamento), a volte sganciando bombe vere a Capo Teulada (l’altro poligono a sud dell’isola) e mentre noi ci davamo da fare sui bersagli a terra, i gruppi intercettori si allenavano fra di loro al combattimento aereo nel nuovo poligono Acmi (air combat maneuvering instrumentation, strumentazione per il combattimento aereo), al largo di Capo Frasca.

Tuttora attivo, l’Acmi è composto da un pod alare (che invia posizione e parametri di volo di ciascun aereo) e una stazione a terra (dove i dati vengono raccolti ed elaborati). I piloti a terra possono seguire in aula, su uno schermo ed in tempo reale, la geometria delle varie manovre e il risultato degli attacchi in base al segnale di “fuoco” inviato a terra.

La strumentazione Acmi è molto sofisticata. Quando il pilota seleziona il tipo d’arma che intende usare, inquadra il bersaglio e spara, il computer, in base alla posizione reciproca, ai parametri di volo e alle caratteristiche del missile o del cannone, segnala sullo schermo il risultato MISSED (mancato) se il tiro è avvenuto fuori dall’inviluppo del sistema d’arma, oppure genera un esagono attorno al bersaglio, indicando un KILL (colpito).

Il pilota responsabile dell’addestramento, seduto alla consolle, segue lo svolgimento della missione e, in continuo contatto con gli aerei, comunica di volta in volta gli esercizi e le manovre alle quali esercitarsi, interviene per correggere gli errori e risolve eventuali situazioni di pericolo.

E’ facile intuire il potenziale di un sistema del genere. Non più ipotesi e simulazioni teoriche alla lavagna, ma dati reali e risultati molto vicini alla realtà.

Istrana era perfetta per quello che avevamo in mente di fare e non fu difficile convincere lo Stato Maggiore Aeronautica di far coincidere le rispettive campagne a Decimo dei due Gruppi del 51° Stormo.

Studiando e sviluppando quello che avevamo già iniziato, favoriti dal rapporto di convivenza sulla stessa base e con una pianificazione ad hoc, oltre alla normale campagna di tiri, Pantere e Pluti iniziarono a volare missioni combinate.

 

F-104S del 22° Gruppo e F-104S del 155° Gruppo

Già Usaf e Navy americane, quando venivano a Decimo per il proprio addestramento Acmi, svolgevano attività Dact (dissimilar air combat training, combattimento fra aerei diversi) e a volte veniva concesso di seguire in aula i duelli fra i vari F-16 ed AV-8B Harrier, o F-15 contro F-16, a volte con risultati sorprendenti, tipo quando i Marines s’inventarono la manovra Viff-ing per farsi sorpassare da chi li attaccava e finire in coda di quest’ultimo e abbatterlo.

In pratica, i 4 ugelli di scarico del Harrier usati normalmente per il decollo e atterraggio verticale, venivano orientati in avanti per rallentare e stringere la virata (manovra non esente da controindicazioni) e portarsi in posizione d’attacco.

 

Harrier: Viff-ing

Noi eravamo solo all’inizio, ma stavamo tracciando un percorso. Gli intercettori decollavano per il loro poligono aria-aria, noi per il poligono aria-suolo e stavolta, oltre al normale dispenser con le bombette da esercitazione, avevamo anche un pod Acmi montato sotto l’ala.

Una volta terminati i giri di bombardamento salivamo verso l’altro poligono, dove ci aspettavano i Pluto.

Il pilota seduto alla consolle Acmi, similmente ad un operatore radar della Difesa Aerea, posizionava in zone diverse bombardieri e intercettori e da quella posizione ognuno iniziava a cercare l’altro per fare il proprio mestiere, mettendo in atto le tattiche e le manovre conosciute per abbatterci (loro) e non farci abbattere (noi).

Il poligono parte da 5.000ft in su e questa quota rappresenta il livello del suolo. Se durante il combattimento si dovesse finire al disotto di essa, sarebbe come fare un buco per terra (Kill).

In genere si cominciava a 7-8.000ft in formazione tattica line abreast (appaiati a circa 2 km uno dall’altro) a Mach 0.75 e gli intercettori a Mach 0.80, diretti come falchi verso il punto d’ingaggio.

Non è facile vedere uno Spillone che potrebbe arrivare da qualsiasi direzione con il muso puntato verso di noi, per fortuna il motore fuma un po’ e appena individuato iniziava il carosello.

Durante le manovre si finiva spesso supersonici, disturbando con i nostri BANG i pesci che ci seguivano indifferenti da sotto la superficie del mare e non sentivamo le maledizioni dei pescatori che transitavano da quelle parti.

In queste simulazioni utilizzavamo però lo stesso tipo d’aereo e, conoscendone le caratteristiche, ognuno cercava di eseguire le manovre di scampo o di attacco nelle “zone d’ombra” dell’altro, sapendo quale fosse la velocità di manovra nelle varie configurazioni di carico, le tecniche di accelerazione e i limiti delle armi in dotazione: missili AIM-9L Sidewinder all’infrarosso e AIM-7 Sparrow a guida radar per gli intercettori; Sidewinder e Vulcan per noi bombardieri.

 

Acmi. Virata difensiva HARD LEFT

 

Acmi. Virata difensiva CROSS TURN

Così imparavamo il mestiere. Non più le mani per simulare due aerei che manovrano e raccontarci i grandi successi ottenuti davanti a una birra a fine giornata, senza uno straccio di prova.

Ora c’erano i dati e le registrazioni, si poteva rivedere ogni singolo combattimento e capire se le manovre erano state ben eseguite o dove si era sbagliato.

In genere, per i più agili intercettori, sarebbe sufficiente che i pesanti e meno manovrabili bombardieri, vistisi minacciati, si liberino del carico bellico per alleggerirsi e cercare di sfuggire all’abbattimento.

Se la manovra riesce sarebbe già un parziale successo/insuccesso per entrambi: il bombardiere può tornare a casa e riprovarci in un secondo momento, però non ha colpito l’obiettivo; l’intercettore ha evitato che quel bombardiere colpisse l’obiettivo, ma non è riuscito ad abbatterlo.

Questi nuovi profili di missione dilagarono ben presto in altri gruppi di volo, che poterono così cimentarsi nel combattimento fra aerei con caratteristiche e ruoli diversi e soprattutto gli intercettori impararono a non sottovalutare i bombardieri, i quali giocano in difesa ma possono passare rapidamente all’attacco.

Non di rado, infatti, la manovra di disimpegno riusciva talmente bene che capitava di abbattere qualcuno di loro, con somma goliardica soddisfazione a fine giornata al Circolo Ufficiali…. un bombardiere che abbatte un intercettore!!

Uno dei tanti aneddoti di quei primi combattimenti Acmi e che ancora ci raccontiamo, è quello capitato a Ivo, detto anche “formicone“.

Durante una manovra difensiva, incrociando uno degli intercettori più alto di lui e con prua quasi opposta, decide di invertire la virata e andargli dietro per tentare un Fox-2 (lancio di missile infrarosso, Sidewinder). Tirando sulla tutti i G che poteva e con tutta “canna” dentro, riesce a girarsi verso il bersaglio che stava sfilando via e con un’ultima strapponata alla cloche, riesce ad inquadrarlo e a fare fuoco… KILL, colpito!!

Ma Ivo aveva chiesto troppo al suo Spillone. Con un assetto oramai prossimo allo stallo, dal quale non c’è rimedio, è intervenuto il sistema automatico che attiva il Kicker, un martinetto che spinge bruscamente in avanti la cloche per ridurre l’angolo d’attacco.

Il caso volle che, dopo l’improvviso e non richiesto abbassamento del muso ad opera del Kicker, il secondo intercettore, più basso del suo compare, gli si parasse davanti e… Fox-2 con il restante SidewinderKILL!!

Due abbattimenti con una sola manovra: aveva appena inventato la tattica del Cobra!

Il salto

All’inizio degli anni ’80, ai tre Gruppi Caccia Bombardieri con gli F-104S, iniziarono le consegne dei nuovi e sofisticati Tornado. Si trattava di un aereo anch’esso supersonico, pieno di computer, comandi Fly by wire, ali a geometria variabile, capace di volare bassissimo e in mezzo alle montagne in totale assenza di visibilità. Con questo nuovo strumento la musica ai reparti cambiò radicalmente.

Tutto evolse secondo gli standard delle più moderne aviazioni e appena tre anni dopo aver ricevuto i Tornado, ci fu la prima trasvolata atlantica (dopo Italo Balbo) di aerei da combattimento, no-stop e con rifornimento in volo.

 

America ’87

L’operazione si chiamava America ‘87 e ci vide impegnati oltreoceano, insieme ad equipaggi degli altri Gruppi Tornado, ospiti della Guardia Nazionale di base a Selfridge Angb-Michigan.

Durante quel mese di luglio partecipammo all’esercitazione Sentry Wolverine, insieme a Gruppi di Canada, Stati Uniti e gli stravaganti Marines (per usare un eufemismo) che a fine giornata, ancora in tuta da volo, si divertivano al Circolo Ufficiali a praticare l’appontaggio strisciando con la pancia sul linoleum innaffiato di birra.

Un’esercitazione riuscita particolarmente bene alle Pantere coinvolte, convocate poi dalle “alte sfere” presenti come osservatori per sapere se, secondo noi, fosse possibile replicare a livello di Linea Tornado quello che ci avevano visto fare, dato che Linci e Diavoli non avevano ottenuto risultati altrettanto buoni.

Ovviamente non c’era nessuna bacchetta magica e la nostra risposta fu: “Certamente si, basta sapere come funziona un Tornado”. Qualcosa di più serio e impegnativo arrivò pochi anni dopo.

Nel ‘90 saremmo stati inseriti in Desert Shield e, con il nostro perfetto tempismo politico… ma non prima dello scadere dell’ultimatum, anche in Desert Storm, l’operazione di polizia internazionale che ha cacciato Saddam Hussein dal Kuwait.

In seguito sarebbe arrivata la Deliberate Force in Bosnia, poi la Allied Force in Kosovo, Unified Protector in Libia e ora è in atto Air Policing, con i moderni Typhoon ed F-35  Lightning II, che pattugliano i confini della NATO con l’Ucraina.

 

Desert Storm 1991

È stato un continuo crescendo, ma un importante passo intermedio prima di Desert Storm, fu quello che ci consacrò “veterani” della nostra Aeronautica Militare: la partecipazione ad una Red Flag… le famose 10 missioni per cercare di sopravvivere alle successive.

Ottobre 1989: Red Flag

Nellis AFB-Nevada, appena fuori Las Vegas, è la sede della pattuglia acrobatica dell’USAF, i Thunderbirds, ma è anche il luogo dove oggi si effettuano dalle tre alle sei Red Flag all’anno.

La prima si svolse nel ’75 e, fra equipaggi di volo e personale tecnico, parteciparono 560 persone con 37 aerei, effettuando 550 voli.

Oggi si arriva a coinvolgere fino a 250 Gruppi di volo, 750 velivoli di vario tipo e ogni anno 11.000 equipaggi accumulano 21.000 ore di volo in 12.000 sortite.

Morale: “si vis pacem, para bellum” se vuoi la pace, prepara la guerra.

La tattica dei caccia bombardieri, consolidata allora in ambito Nato, era quella di volare il più basso possibile per non essere individuati e colpiti. Nel bombardamento classico livellato, però, sia l’aereo che gli ordigni sganciati arrivano quasi contemporaneamente sopra il bersaglio e per evitare di subire danni dall’esplosione delle proprie bombe, occorre effettuare lo sgancio ad una quota minima di sicurezza, che può essere anche di 1.000 ft o più, a seconda della potenza impiegata.

Eredi dell’esperienza maturata in Vietnam, per ridurre l’esposizione ai radar e al fuoco nemico, gli americani dotarono le normali bombe MK-82, da 250 e 500 lb, di un governale a pinna caudale ad alta resistenza: quattro alette ripiegate che si aprono a forma di croce quando la bomba viene rilasciata.

Le pinne, aumentando la resistenza della bomba, ne rallentano l’avanzamento, consentendo al velivolo di  sorvolare il bersaglio sufficientemente in anticipo rispetto all’esplosione.

Con le bombe così modificate, denominate Mk-82 Snake-Eye (a occhio di serpente), è possibile effettuare bombardamenti scendendo fino a un minimo di 150ft e in questo modo, essendo anche più vicini all’obiettivo al momento dello sgancio (500 mt circa), migliora la precisione rispetto ai circa 2 km se la stessa bomba, senza pinne caudali, venisse sganciata da 1000 ft.

 

Mk-82 Snake-Eye

Questo tipo di bombe sarebbero state il nostro armamento principale, però i nostri poligoni sono tutti dislocati in pianura o adiacenti al mare, mentre il poligono di Nellis si estende a nord di Las Vegas e nel Mojave, ad una elevazione compresa fra i 4.500 e i 6.500 ft, con alcuni rilievi più alti

Nei tre mesi che hanno preceduto l’esercitazione, durante l’estate, si era pensato di esercitarci a manovrare l’aereo a pieno carico in aree altrettanto elevate, dove l’aria è più “fine” e con temperature simili a quelle che avremmo trovato oltre Atlantico: l’Abruzzo faceva al caso nostro.

Partendo dalla nostra base di Ghedi (Bs), dopo appena 25-30 minuti di volo si arrivava in zona Gran Sasso e in quell’area avevamo individuato diversi obiettivi sui quali fare pratica. Uno di questi era il ponte del Lago di Campotosto e proprio sul quel ponte scoprimmo che il computer dell’armamento, simulando di avere quel particolare tipo di bomba, a volte si rifiutava di entrare in modalità d’attacco, impedendoci di fatto l’effettuazione di sganci di precisione.

Quando ce ne rendemmo conto mancava poco alla partenza… sembrava proprio che ci fosse un “buco” nel software dei nostri Tornado e questo avrebbe pregiudicato i risultati dell’imminente esercitazione oltreoceano.

Difficile arrivare a chi aveva progettato quel software e farlo correggere, non c’era tempo e interessammo direttamente il Reparto Sperimentale Volo di Pratica di Mare, dove scoprirono che  le Snake-Eye avevano tabelle balistiche calcolate fino ad una elevazione massima di 5.000ft. Evidentemente non erano stati ipotizzati attacchi a quote più alte e arrivando su quel ponte dalla parte più montuosa, cioè da nord e da est, si superava quel limite e quindi oltre l’inviluppo del loro utilizzo.

In Nevada, ad una elevazione già al limite delle bombe MK-82 Snake-Eye, avremmo rischiato ogni volta il “fuori gioco”, ma fortunatamente gli ingegneri di Pratica riuscirono a correggere in tempo il “bug“, estendendo l’inviluppo delle bombe a quote superiori e con questi presupposti, partimmo più sollevati.

Ci siamo

Dopo l’esperienza maturata con America ’87, il trasferimento avviene senza sorprese e arrivati a Las Vegas abbiamo due giorni per regolare l’orologio biologico al nuovo fuso orario e acclimatarci all’ambiente caldo e asciutto del posto.

Sistemati downtown presso l’Aladdin hotel, in grandi e comode camere con vista sulla famosa Strip, dove la vita gira principalmente fra un casinò e l’altro, anche se stanchi (ma euforici) non possiamo evitare di fare due passi, mangiarci una T-bone steak e buttare qualche monetina nelle slot machine.

Il termine Red Flag si rifà ovviamente al blocco comunista. Ci sono le Red Forces (forze rosse, i “cattivi”), contro le Blue Forces (forze blu, i “buoni”). 

Il termine Red Flag si rifà ovviamente al blocco comunista. Ci sono le Red Forces (forze rosse, i “cattivi”), contro le Blue Forces (forze blu, i “buoni”). 

Delle Red Forces fa parte il 65th Gruppo Aggressor, piloti scelti fra i migliori dell’Usaf indottrinati a volare secondo le tecniche e tattiche russe e, per addestrare meglio i piloti alleati a fronteggiare aerei di tipo diverso, gli Aggressors utilizzavano F-16 Falcon, F-4 Phantom ed F-5E Tiger, un agile bireattore supersonico che un po’ conoscevo.

 

Gruppo Aggressors

Per rendere ancora più realistica la minaccia, i loro aerei avevano livree simili a quelle dei caccia russi, con tanto di stella rossa in bella vista sulla coda e in fusoliera.

 

Aggressor F-5E Tiger

 

Aggressor F-16 Falcon

Il loro compito consisteva nell’ignorare le superiori performance dei propri aerei e di manovrare con prestazioni simili a quelli utilizzati dal Patto di Varsavia, in particolare i loro caccia di punta che in quegli anni erano rappresentati dal Mig-21 Fishbed e Mig-27 Flogger.

 

Mig-21 Fishbed

 

Mig-27 Flogger

Superate le formalità per l’ingresso in base, veniamo portati al Comando Red Flag, percorrendo la strada ai margini della linea volo. Da un lato gli aerei che parteciperanno all’esercitazione e quest’anno ci sono anche i nostri Tornado, dall’altro lato le varie palazzine che ospiteranno i Gruppi di volo partecipanti, ognuno con la propria area dove fare i briefing, preparare le missioni, studiare le difese… e dove leccarsi le ferite a fine giornata.

 

Nellis Afb: Linea Tornado

Dai muri spuntano vari tipi di radar e sistemi d’arma del blocco sovietico, catturati o ceduti, che hanno consentito agli esperti di studiare le manovre e le tattiche migliori per sfuggire ai loro tiri.

Antenne ruotanti montate su camion, vari tipi di Sam, singoli o affiancati a due o tre che spuntano dai rispettivi lanciatori, anche loro montati su semoventi e visti finora solo nelle foto che ci mostrava al gruppo l’Ufficiale Intelligence, con quel poco che si sapeva sul loro funzionamento.

Ora invece sono lì, reali ed enormi: i vecchi Sam-2 Guideline alti dieci metri e Sam-3 Goa; il tozzo Sam-4 Ganef, che va su e poi piomba a motori spenti dall’alto; il temibile Sam- 6 Gaiful che lavora in effetto doppler. Forse c’era anche il Sam-8 Gecko, quello che due anni dopo abbatterà un nostro Tornado durante la Guerra del Golfo.

Non mancano neanche le terribili Zsu 23-4 Shilka (zenitnaya samokhodnaya ustanovka, sistema anti aereo mobile), quattro mitragliatrici binate asservite ad un radar di tiro, chiamata anche “macchina da cucire” per il rumore che fa quando spara 60 colpi al secondo a Mach-3 (oltre 3400 km/h).

I loro simulacri li troveremo in “zona di guerra”, dai quali verranno generati i rispettivi segnali elettronici per imitarne le tracce che appariranno sul RWR di bordo (ricevitore di minaccia) e dai quali dovremo difenderci adottando le manovre e le tattiche più efficaci per quel determinato sistema d’arma.

Briefing generale

Nell’aula magna, fra equipaggi volo di culture e lingue diverse e personale strettamente interessato all’esercitazione, saremo almeno in duecento. Qui faremo i de-briefing a fine giornata e vedere com’è andata (tutto viene registrato tramite un pod montato su ogni aereo, simile a quello usato per i poligoni Acmi in Sardegna) e sul grande schermo sarà possibile rivedere i percorsi di ciascun aereo, ciascuna formazione, i parametri di volo di tutti, le manovre effettuate, quante perdite subite e quanti obiettivi colpiti.

Lo scopo è metterci a diretto contatto per scambiarci le esperienze, analizzare gli errori, evidenziare le problematiche di ciascun sistema d’arma (aereo) e magari tirar fuori qualche “coniglio dal cilindro” per aumentare la sinergia di diverse aviazioni, massimizzando gli esiti della Campagna contro le Red Forces.

Un caloroso benvenuto da parte del comandante Red Flag e un breve riassunto di quello che ci aspetta nelle prossime due settimane, ci fa sentire tutti Alleati (non dovrebbe essere una competizione fra i vari gruppi di volo… che comunque sarà inevitabile) e il briefing generale termina con un richiamo alle regole d’ingaggio e alla Sicurezza Volo.

La cosa più importante è il rispetto delle regole, aderire agli ordini di missione e comprendere che ogni deviazione potrebbe alterare il risultato di tutti. Nel caso in cui si debba interrompere, e sacrificare l’esito della missione… poco male, è una esercitazione dove è consentito fare errori per studiarli e non ripeterli la volta successiva.

Siete qui per imparare, non si può vincere il primo giorno di scuola!” FINE.

La prima missione è per così dire di “riscaldamento”, non troppo complicata e senza bombe; si tratta più che altro di una ricognizione dell’area per familiarizzare con l’ambiente e le procedure.

Chiusi nel nostro covo iniziamo a studiare l’ATO (air task order, ordine di missione) dove vengono elencati gli obiettivi, quando colpirli, il tipo di armamento da impiegare, la rotta, le difese, il supporto e imparare come si parte e si rientra alla base… se sbagli la sequenza di rullaggio finisci in fondo alla fila e la pianificazione verrebbe aggiustata in coda agli altri. Questo non deve succedere.

L’area dove si svolge l’esercitazione è grande come quasi tutto il Centro-Italia (Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio messi insieme), nel suo interno si trovano altre due aree più piccole che vanno assolutamente evitate.

Una è la famosa Area51, “The Box” (la scatola) come la chiamano i piloti di Nellis. Un quadrato di 40km di lato dove solo pochi intimi sanno che cosa ci sia veramente e cosa ci facciano. Dovremo quindi stare alla larga (pare che un Gruppo di Singapore su F-16 ne abbia spizzicato un angolo e per questo siano stati rispediti a casa).

L’altra area sensibile è un pentagono più piccolo nell’angolo superiore della regione e comprende l’aeroporto di Tonopah AFB con annesso un piccolo poligono.

Questa è l’area dove stanno completando lo sviluppo del primo caccia Stealth (invisibile), l’F-117 Nighthawk, che verrà poi utilizzato con successo nella prima Guerra del Golfo.

Protetto da misure di estrema segretezza, veniamo informati che, nella malaugurata ipotesi che qualcuno sia costretto ad atterrare a Tonopah, dovrà mettere in conto un prolungato soggiorno sotto stretta sorveglianza, nessuna possibilità di contatti esterni e subire diversi interrogatori. 

L’aereo verrebbe smontato fino all’ultima vite e solo dopo essersi sincerati che non sei una spia e l’aereo non abbia sistemi di spionaggio, si verrebbe (forse) rilasciati.

Persino piloti, tecnici, ingegneri e tutto il personale della base sono confinati in aeroporto per il tempo che durerà il programma, non possono stare con le loro famiglie, né avere contatti con l’esterno. Anche loro “prigionieri”.

Non sarà proprio così, in fondo stiamo dalla stessa parte, ma sappiamo che agli Yankee piacciono i protocolli molto rigidi e li applicano alla lettera e in caso di avaria, viste le premesse, scherzavamo dicendo che sarebbe forse meglio “spararsi” fuori con i Marti-Baker (seggiolino eiettabile), piuttosto che cercare di salvare l’aereo con un eroico atterraggio in quell’aeroporto.

 

F-117 Nighthawk

Questa è la musica e ora si balla.

Ogni giorno la stessa sequenza: presentazione del OOB (Order of Battle, ordine di battaglia) del Teatro Operativo, punto d’ingresso in territorio Red, rotte e obiettivi da colpire, difese da superare, zone lungo la rotta dove è possibile incontrare gli Aggressors, postazioni Sam, separazione fra le varie formazioni, punto d’uscita e rientro alla base.

La pianificazione delle missioni è complicata, ce ne rendemmo conto quando toccò a noi italici il ruolo di Package Commander (comandante delle Forze Blu) di cui fanno parte le varie componenti aeree necessarie, a seconda del ruolo e specialità di ciascun Gruppo partecipante e che tutte insieme compongono il pacchetto d’attacco.

Tutti vorrebbero portare a termine la missione assegnata; perché questo succeda è necessario saper utilizzare le risorse disponibili per arrivare sugli obiettivi, colpirli e tornare a casa per la missione successiva. Fa parte dell’addestramento Red Flag e tutti i Gruppi partecipanti dovranno a turno ricoprire il ruolo di Package Commander.

Per questa missione il Leader degli attaccanti sarà Papà, insieme al suo navigatore Loris e a tutti noi, dovrà organizzare il gioco delle Blue Forces: non meno di una cinquantina di aerei, divisi nelle varie specialità, che dovranno decollare nella sequenza giusta per posizionarsi nelle aree designate e all’ora stabilita dare inizio all’attacco coordinato,:

 

    • Gli F-15 avranno il ruolo di Sweep, il loro compito sarà individuare ed eliminare eventuali Aggressors;

 

    • Gli EA-6B Prowler ed EF-111 Raven sono specializzati nella Guerra Elettronica e SEAD (suppression of enemy air defence, soppressione delle difese aeree nemiche);

 

    • Gli F-4 Phantom  Recce (ricognitori);

 

    • I KC-135 AAR (aerei cisterna per il rifornimento in volo);

 

    • PA-200 Tornado, AV-8B Harrier, F-16 Falcon, F/A-18 Hornet, B-1 Lancer e F-111 G Aardvark nel ruolo di Fighter Bombers (bombardieri).

 

Area “Red Flag”

Il piano

In territorio Red le rotte devono seguire una pianificazione che porti ciascuna formazione nel punto giusto al momento giusto, rispettando il proprio TOT (time over target, orario sull’obiettivo), colpire e filarsela per far posto ad altre formazioni in arrivo. Normalmente non bastano pochi aerei per neutralizzare un aeroporto, un sistema complesso di Sam o una lunga colonna di mezzi e truppe in movimento. In questi casi sono necessarie ondate successive per colpire aree diverse e renderlo inutilizzabile, prima che si riorganizzino, per almeno un lasso di tempo sufficiente a completare altri obiettivi.

In questo intreccio di rotte…. “Safety is Paramount”: nessuno si deve far male.

Una volta che tutti gli Asset (risorse) avranno raggiunto le loro Holding Areas (zone di attesa) in territorio Blue, si potrà iniziare l’attacco. Se dovesse mancare anche una sola componente aerea, le possibilità che gli obiettivi vengano colpiti come necessario diminuirebbero in funzione dell’inevitabile aumento del Attrition Rate (tasso delle perdite), quello che in Vietnam era diventato inaccettabile. Per questo sono necessarie tante “specialità” per completare il puzzle.

Si va agli aerei, messa in moto con il dovuto anticipo per avere il tempo di saltare sull’aereo di riserva e siamo pronti.

Fuori ci saranno una trentina di gradi e legati in cockpit, con giubbotto Secumar, tuta anti-G, casco, maschera, guanti e senz’aria condizionata perché a terra viene deviata al vano elettronico per tener freschi gli apparati, per gli equipaggi è come star seduti su un barbeque.

Per fortuna non ci sono aerei in moto sull’enorme piazzale nella fila davanti a noi altrimenti, com’è capitato qualche volta, con il tettuccio chiuso è anche peggio. Oggi lo possiamo tenere aperto e prendere una boccata d’aria con la maschera slacciata, restando in ascolto fino a quando sarà il momento di muoverci.

 

Nellis Afb: Caricamento Mk-82

È ora, il tettuccio del Leader si abbassa e a imitazione lo abbassiamo tutti, maschera d’ossigeno a posto e quando arriva il momento di chiamare, Loris contatta la Torre di Controllo per il rullaggio. La sequenza parte scandita come un metronomo che dà il ritmo a tutta l’orchestra e il serpentone si snoda lungo la via di rullaggio parallela alla pista.

F-15 davanti a noi, F-16 dietro, F-4, B1 ed F-111 davanti agli F-15. Io e Coccio  (il mio navigatore), ci godiamo lo spettacolo dei decolli che ci precedono, compresi quelli degli Aggressors che ci aspetteranno al varco!!

 

Nellis: Lancer in decollo e Tornado in rullaggio

Durante il rullaggio ripassiamo i fondamentali del volo che stiamo per iniziare e prima di entrare in pista gli armieri rimuovono le ultime spine di sicurezza dalle 5 Snake-Eye, le bombe sono ora libere di armarsi subito dopo lo sgancio.

 

Nellis Afb: Tornado in decollo Red Flag

Siamo in volo,  le comunicazioni sono di vitale importanza e lo slang (cadenza) degli operatori radio non è sempre facile da capire, ma ce la caviamo e quindici minuti dopo siamo in zona Caliente, l’ultimo settore in territorio Blue.

Entriamo in formazione comoda nella nostra holding aspettando l’ora-X per dirigerci al North Gap (passo nord), punto d’ingresso in territorio Red.

Appena superato il confine ci allargheremo in formazione tattica difensiva, una quadrato di 2-3 chilometri di lato dove ogni aereo occupa un vertice e tiene d’occhio le spalle dell’altro per non farci sorprendere da Aggressors e Sam.

Tutte le componenti aeree sono ora in posizione, chi ha dovuto prendere la riserva l’ha presa, chi non ce l’ha fatta è rimasto a terra e chi doveva rifornirsi in volo l’ha fatto.

In contatto radio e autorizzati ad “iniziare le danze”, all’orario stabilito (Push time) gli F-15 lasciano le loro aree di attesa dirigendosi a media/alta quota in territorio Red per individuare ed eliminare ogni Aggressor presente lungo la principale direttrice d’attacco; simultaneamente gli assetti di guerra elettronica, EA-6B Prowler ed EF-111 Raven, accelerano a bassissima quota attivando i loro sistemi di disturbo e contromisure elettroniche per confondere i radar dei Red ed aprire corridoi di penetrazione con gli AGM-88 HARM (high-speed anti-radiation missile, missili ad alta velocità anti radiazioni), che risalgono le emissioni dei radar che ci dovessero cercare, mettendoli fuori uso.

Tutto viene coordinato per limitare al massimo l’esposizione alle difese nemiche, saturandone la capacità di reazione e consentire alle formazioni di bombardieri di attraversare, nel più breve tempo possibile (time compression), le linee nemiche FEBA e FLET (forward edge of battle area e forward line of enemy troops, in poche parole…il Fronte).

Qui non si parla di Supremazia Aerea, com’è successo durante la Guerra del Golfo, in cui non poteva volare una mosca che non fosse stata prima autorizzata dall’Awacs della Coalizione, qui si parla di una più realistica Superiorità Aerea, cioè un temporaneo vantaggio da mantenere per il tempo necessario a far passare indenni le forze d’attacco.        

Poco dopo l’ingresso in territorio Red, l’RWR comincia ad animarsi e, mano a mano che ci inoltriamo nel settore Coyote Charlie, spuntano le minacce più serie.

Catapultati in questo scenario, filando a un centinaio di metri dal suolo e col nemico che ci cerca, dopo neanche un minuto si dimentica di essere in un’esercitazione.

Entra in gioco l’addestramento, il mestiere prevale per tenere a bada l’istinto e l’adrenalina inizia a circolare come è previsto che faccia. Questo è lo scopo della Red Flag: non farsi fregare dalla sorpresa e dall’ansia che genera il pericolo di essere colpiti.

Qualcuno della formazione lancia un allarme: “SAM A ORE DUE!” e una scia di fumo sale sulla destra simulando il missile sparato dal radar che ci ha “beccato”. Ovviamente non sono veri missili, ma innocui razzi fumogeni di cartone che salgono in verticale per due/tre cento metri, tuttavia l’effetto emotivo c’è!!

Si attuano le manovre di scampo con repentini cambi di direzione, virando con accelerazioni a 3 massimo 4 g (non di più perché siamo pesanti), a volte incrociamo le traiettorie con l’altro compare per confondere i radar, mentre dal posto dietro i navigatori sparano chaffs (foglioline metalliche) o flares (razzi pirotecnici) a seconda che si tratti di un sistema a guida radar o all’infrarosso e contemporaneamente attivano le contromisure elettroniche per sganciarci dal tipo di radar che ci tallona… sudore e cuore fanno il loro lavoro (sapremo solo dopo se siamo stati colpiti o no) .

Superato il pericolo Sam, entriamo nel settore Romeo-75 dove c’è il nostro TGT (target), l’obiettivo che ci è stato assegnato.

Cominciamo col spegnere ogni emissione per non tradire il nostro arrivo e Coccio seleziona le bombe da sganciare, regolando lo spazio fra di loro (più concentrate se l’obiettivo è puntiforme e più distanziate se si tratta di una colonna o di un sito più esteso).

Guardo davanti e di lato per eventuali minacce, il mio compare a destra dovrebbe fare altrettanto e ci controlliamo le “ore-sei”. Coccio mi dice di vedere minacce Aggressors e avvisa tutta la formazione… “TALLY ORE CINQUE, SETTE MIGLIA”… “TALLY ORE TRE, ALTO, LONTANO”… “TALLY ORE QUATTRO, OTTO MIGLIA STESSA QUOTA“… sono tutti dei puntini a più di dieci chilometri, come cavolo fa a vederli tutti… sarà perché è dell’Aquila? Per il momento non sono una minaccia, gli Aggressors sono probabilmente addosso a qualcun altro nei paraggi e ci concentriamo sull’attacco.

Alla nostra sinistra scorre l’Area51… un’occhiatina veloce… nessun UFO in vista, bene! Raggiunto l’IP (initial point, punto d’inizio della corsa d’attacco) acceleriamo fino alla velocità massima consentita per lo sgancio delle Snake-Eye: 480 Kts.

Potremmo andare più veloci, ma le alette della bomba ripiegate nel governale, aprendosi dopo lo sgancio, potrebbero non reggere lo schiaffo dell’aria e rompersi, falsando la traiettoria della bomba.

Ancora un paio di minuti e dovremmo cominciare a vedere il nostro obiettivo, dei mezzi che assomigliano a carri armati in colonna su una pista. Completiamo i controlli pre-sgancio:

 

    • Bombe selezionate

    • Chiave MASS (master armament safety switch, la sicura principale) inserita e ruotata su                              LIVE, i circuiti di sgancio sono ora alimentati e pronti ad azionare le cartucce esplosive per il                                    rilascio delle bombe

    • IFF Off

    •  

Lo spazio fra noi è pianificato in modo che ciascuno non entri nell’inviluppo di frammentazione delle bombe dell’altro. Trenta secondi circa, questo è il tempo che più o meno impiegano i frammenti delle esplosioni per ricadere a terra ed evitare di passarci in mezzo.

Armeggiando con il radar Coccio individua quello che dovrebbe essere il nostro TGT.

Sul HUD (head up display) vengono proiettate tutte le informazioni che servono anche in questa fase finale. Davanti a noi le esplosioni di chi mi ha preceduto e le Target Bar proiettate sul blindo-vetro, (posizione stimata dell’obiettivo) le vedo poco a lato del secondo mezzo della colonna, bene!

Correggo un po’ a destra per posizionare la bomb line (linea lungo la quale cadranno le bombe), a cavallo della colonna dei mezzi e tenendo schiacciato il pulsante commit (consenso al computer di sganciare), aspetto che la barretta del Ccip (continuous computed impact point, il punto calcolato in tempo reale d’impatto bombe), scorrendo dal basso lungo la linea d’attacco, arrivi al traverso delle Target Bar per dare l’impulso di sgancio.

Sorvoliamo i mezzi a bassissima quota e sento i contraccolpi delle cinque Snake-Eye che ci lasciano: “TUMP-TUMP-TUMP-TUMP-TUMP” e via, verso il prossimo punto dove riprenderemo la formazione tattica.

Durante la virata di scampo a destra il muso punta momentaneamente verso Tonopah, pochi chilometri davanti a noi… guai se succedesse qualcosa proprio ora! Ma il nostro “mustang” non fa una piega e ci lasciamo l’obiettivo fumante alle spalle.

Ancora radar nemici, il terreno è più montuoso e cerchiamo riparo lungo i pendii per non farci inquadrare; appena superato il monte Cedar altri radar ci inquadrano, faccio delle manovre per cercare di rompere il lock-on (radar agganciato su di noi) e scendere di nuovo alla quota minima sfruttando l’orografia del terreno. Ancora poche altre virate e siamo al punto d’uscita.

Casualmente il punto si chiama KILO …ma credo che di chili ne abbiamo persi tutti almeno due!!

Il rientro a Nellis avviene senza troppi problemi. A differenza dell’ondata sequenziale di decollo, il rientro è sempre un pò a fisarmonica e la Torre di Controllo ha il suo bel da fare per metterci tutti in fila per l’atterraggio e noi a capire esattamente cosa diavolo vuole che facciamo.

Un difetto dei controllori americani è che danno per scontato che tutti siano cresciuti a Manhattan o nel Bronx… si sentono invece risposte con accento “britishh”, “frrranssscese”, “spagnoleggiante”, “tetesken” e ora anche “italo-maccheronico”. 

Abbiate pazienza…ma se 500 anni fa non fossero sbarcati gli europei, qua eravate ancora a caccia di marmotte!… con tutto il rispetto per gli Indiani.

Scesi dall’aereo e rientrati in zona aria condizionata, appendiamo il Secumar,  mettiamo il casco ad asciugare e torniamo sudaticci nella “tana delle Pantere”, dove ogni volta ci raccontiamo quanto sia stato eccitante e impegnativo e soprattutto quanto fosse realistico… i missili sembravano missili, l’RWR non è mai stato zitto, le bombe poi una figata, dice uno… “TUMP-TUMP-TUMP-TUMP-TUMP” e l’altro “no, semmai TUMP….TUMP….TUMP….TUMP….TUMP” – “no no… molto più ravvicinate!” – “Ma scusa, quanto ritardo hai inserito nel computer fra una bomba e l’altra?” – “Bè, 135 metri… ooops, erano forse 135 millisecondi?” – “Eh sì! Praticamente, anziché cadere tutte in 150 metri, l’ultima è caduta 500 metri dopo la prima… una bella strisciata!”.

Obiettivo colpito, ma un paio di bombe saranno forse andate lunghe.

Le prossime volte: “Verificare bene i dati da inserire nel pannello di armamento“.

A fine giornata, messa in pausa la “Guerra”, andiamo tutti in aula magna per vedere com’è andata e ce n’è un po’ per tutti.

Chi è tornato ma non avrebbe potuto perché è stato abbattuto da un Aggressor o un Sam, c’è chi ha sganciato un po’ in ritardo ma nei limiti, chi ha mancato il bersaglio e quando arriva il nostro turno, quasi tutto bene. Quelle bombe che ritenevamo essere andate lunghe non sono state neanche menzionate e in effetti, trattandosi di una colonna di mezzi di lunghezza non definita, non hanno influito sul risultato. Una cosa però io e Coccio l’abbiamo imparata.

Poco dopo l’obiettivo, durante le manovre evasive per una minaccia Sam dopo il Monte Cedar, abbiamo incrociato degli AV-8B… ???

Il sistema di navigazione è piuttosto preciso e la spiegazione è arrivata dopo aver riesaminato il percorso.

Una decina di miglia prima del punto di virata, durante una manovra di Jinking (cambio rapido della traiettoria di volo sui tre assi per impedire una buona soluzione di tiro), il punto è finito dietro rispetto alla direzione dell’aereo e il sistema di navigazione, entro una certa distanza dal punto, lo considera come superato e da indicazioni per il punto successivo… così, anziché tornare verso il punto previsto, ci siamo diretti verso quello dopo, tagliando un angolo del percorso che ci ha fatto intersecare la rotta degli altri. Altra lezione imparata.

Ogni volo ha avuto i suoi momenti topici.

Poche missioni dopo l’inizio della Red Flag, l’EA6-B Prowler e l’EF-111 Raven, inizialmente scortati dagli F-15 Blue perché considerati assetti pregiati di guerra elettronica, venivano regolarmente abbattuti dagli Aggressors e chiesero allora di volare al centro della nostra formazione, riuscendo così ad operare e sopravvivere in tutte le missioni successive.

In un’altra missione in formazione anomala, condotta con cinque Tornado, il capo degli Aggressors (Red-1),vedendo i tre davanti, si è fiondato in coda per attaccarli convinto che fossero gli ultimi e invece Ivo, il “formicone” che era nella coppia dietro con Gavino, trovandoselo davanti servito su un piatto d’argento, lo ha seccato con un Sidewinder.

Durante il de-briefing in aula magna furono invalidati tutti i successivi abbattimenti di Red-1 e l’applauso delle Forze Blue ce lo ricordiamo ancora.

Gavino, il n.5 di quella formazione, volando alla quota minima consentita, si è visto passare sotto a quota cespugli un F-16 impegnato nella virata per portarsi in posizione d’attacco sui tre davanti e a lui non l’ha proprio visto, mancandolo per un pelo….lo stesso verrà però punito una manciata di secondi dopo, da Ivo.

Sempre Gavino, agganciati da un  radar associato al sistema Sam-6 Gainful, gliene hanno sparati uno dietro l’altro ma lui e Pierlo (il suo navigatore), con manovre di Jinking e contromisure di bordo, sono riusciti a depistarne cinque, non male… però sono stati abbattuti dall’ultimo, il sesto.

E che dire delle famose bombe inerti utilizzate in alcune missioni al posto di quelle vere? Questi ordigni di cemento a forma di bomba, pesanti ognuno 250kg e arrivando ad oltre 800 km/h sull’obiettivo, facevano comunque i loro danni e in uno di questi sganci veloci alcuni mezzi blindati sono finiti addirittura coricati sul fianco

per la “sassata” che li aveva colpiti.

Durante la nostra Red flag è successo anche un fatto curioso, del quale però non s’è saputo quasi niente.

Un Phantom Recce della Raf, per un’avaria idraulica, è dovuto atterrare in emergenza nella proibitissima Tonopah AFB. Un po’ di tempo dopo, con un certo senso dell’umorismo, l’aereo gli è stato restituito con un Nighthawk dipinto sulla presa d’aria, con la scritta: “DON’T ASK” (non chiedere).

 

F-4 Phantom rientrato da Tonopah Afb

L’anno dopo, per un malfunzionamento al travaso di carburante, è toccato invece a un Tornado, sempre inglese.

Di nuovo gli è stato riconsegnato con un F-117, stavolta dipinto sulla coda. Di questa storia  qualche dettaglio interessante c’è…. magari la prossima volta.

Numeri e conclusioni

Eravamo ventidue equipaggi selezionati dai tre Gruppi Tornado (Pantere, Diavoli e Linci) econ 6 velivoli a disposizione, in poco meno di un mese, abbiamo volato 168 sortite Red Flag, accumulando un’esperienza di oltre 220 ore di volo operativo, oltre ai voli di trasferimento che sono comunque un’esperienza interessante.

L’eccellente pianificazione e gli obiettivi colpiti, subendo pochissime “perdite”, hanno consentito di completare l’89% di missioni in modo positivo (8% annullate per avverse condizioni meteo e solamente 3% per cause tecniche), dando un contribuito significativo alla campagna contro le Red Forces, oltre le aspettative di chi ci vedeva per la prima volta impegnati in un contesto di questo livello.

Il personale tecnico e di supporto, inoltre, ha dimostrato di saper operare in ambienti non familiari e sotto pressione, consentendo un’efficenza giornaliera dei velivoli pari al 96%. Ben fatto!!

Tanto più la Red Flag, mano a mano che andava avantisi avvicinava alla realtà, tanto meglio riuscivamo a portare a termine ogni missione. Alla fine era diventato tutto quasi familiare e di questo ne avremmo beneficiato due anni dopo, in Desert Storm e nelle successive operazioni internazionali.

Gli americani avevano visto giusto quando hanno pensato ad una esercitazione di questo tipo, confermando che la Sicurezza Volo non aumenta volando poco e facendo sempre le stesse cose, ma addestrandosi continuamente a fare più cose e facendo tesoro da quello che s’impara da ogni volo.

Prima Red Flag A.M.I.: OK!!! Avanti i prossimi.

Nota:

Wikipedia in inglese, nella lista dei Paesi che hanno partecipato alla Red Flag, non riportava la nostra del 1989 e neanche quella del 1992.  Ho corretto, ora ci sono.

Wikipedia in italiano non riporta nessuna data e non è stato possibile aggiungerle

Marinazz

Pilota 155° Gruppo

Pantere Nere

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