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Vanno, vengono

Ogni tanto si fermano

E quando si fermano, sono nere come il corvo

Sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche

E corrono

E prendono la forma dell’airone o della pecora

O di qualche altra bestia

Ma questo lo vedono meglio i bambini

Che giocano a corrergli dietro per tanti metri”

Certe volte ti avvisano con un rumore prima di arrivare

E la terra si trema

E gli animali si stanno zitti

Certe volte ti avvisano con un rumore

Vengono, vanno, ritornano

E magari si fermano tanti giorni

Che non vedi più il sole e le stelle

E ti sembra di non conoscere più il posto dove stai

Vanno, vengono

Per una vera, mille sono finte

E si mettono lì, tra noi e il cielo

Per lasciarci soltanto una voglia di pioggia

(Fabrizio de Andre’, Mauro Pagani: Le Nuvole)


E’ passata da poco l’ora del tè in una giornata di tardo autunno e inizio ottocento e in un cupo seminterrato londinese al civico 2 di Plough Court un giovane stropiccia nervosamente i fogli scritti a mano e controlla un rotolo pieno di disegni. In quel seminterrato si riunisce una volta alla settimana la Askesian Society, una sorta di club fondato sei anni prima dallo scienziato e filantropo William Allen con altri scienziati.

Alla Askesian Society si discute di scienza in modo  più informale che alla più blasonata Royal Society. I membri dell’associazione sono obbligati a presentare a turno un proprio contributo, pena il pagamento di una multa. Quella sera tocca a Luke Howard, un farmacista neppure trentenne con la passione della botanica e della meteorologia.

Luke ha un attimo di esitazione di fronte all’uditorio. I membri più anziani della Society scalpitano: li attende un’altra riunione e soprattutto una lauta cena alla Royal Society. Uno di loro fa cenno a Luke che insomma, è giunto il momento di cominciare. Luke ha un’ora di tempo per convincere l’uditorio. Quell’ora, si è scritto in seguito, “sarebbe stata ricordata dagli storici, come dai sognatori a occhi aperti”. Prende fiato e inizia.

“La mia conferenza di stasera riguarda un tema che qualcuno troverà forse insolitamente privo d’importanza pratica”.

Ma torniamo indietro. Luke Howard è nato a Londra il 28 novembre 1772. Il padre Robert, una figura austera e autoritaria, gestisce una fiorente officina in cui si lavora il ferro battuto e che in seguito farà fortuna producendo un nuovo tipo di lampada ad olio destinata a rivoluzionare l’illuminazione domestica. A scuola dedica molte ore allo studio della natura, anche all’aperto, e altrettante allo studio del latino. Howard preferisce di gran lunga le prime. “Imparai più latino di quello che sono poi riuscito a dimenticare” disse , “comunque, essendo nato con capacità di osservazione, cominciai a farne uso anche senza una guida”. Dagli alloggi degli studenti la vista è ampia, e Luke rimane a lungo incantato a osservare il cielo e le nuvole e le loro evoluzioni. Nel 1783, tuttavia, accade qualcosa di strano. A partire da giugno, una strana coltre nebbiosa copre il cielo in gran parte d’Europa e perfino in alcune zone dell’America del nord. “Il sole, a mezzogiorno, pareva una luna obnubilata, e spandeva una strana luce ferruginosa”. Il caldo è soffocante e un odore di zolfo penetra fin dentro le case. I raccolti soffrono e la carne degli allevamenti è immangiabile; gli esseri umani si ammalano e solo nel Regno Unito si parla di oltre ventimila morti. In quell’estate tremenda, l’undicenne Luke Howard e i suoi compagni di scuola assistono a bocca aperta dalle loro finestre a quello spettacolo mai visto prima, con fulmini poderosi e fenomeni luminosi simili all’aurora boreale. Luke annota tutto ciò che vede nel suo diario meteorologico. Solo in seguito alcuni studiosi, tra cui Benjamin Franklin, ipotizzano un collegamento tra questi fenomeni e la massiccia eruzione del vulcano Laki che inizia l’8 giugno 1783 e continua fino al febbraio 1784, devastando gran parte dell’islanda. Il 1783 rappresenta uno spartiacque per l’Europa: si comincia a diffondere l’idea che “tutti questi fenomeni atmosferici, vicini o lontani, siano connessi”, che sia sempre più importante comprenderli, e che se ne sappia ancora poco, troppo poco. Cinque anni dopo, Luke termina gli studi e torna in famiglia. Nella nuova casa dei genitori a Stamford Hill, passa gran parte delle sue giornate in giardino. Qui ha creato una piccola stazione meteorologica e due volte al giorno vi si reca ad annotare puntualmente sui suoi taccuini la direzione del vento, la pressione dell’aria, temperature minime e massime.

Ma il padre lo riporta alla dura realtà: la meteorologia non ti darà mai di che vivere, figliolo. E lo spedisce a Stockport, nella bottega di un farmacista, in modo che impari il mestiere. Sono anni difficili per Luke, che lavora duramente sotto la guida inflessibile del padrone, senza smettere mai però di coltivare le proprie passioni scientifiche e di ricordare i cieli dell’Oxfordshire che tanto lo avevano colpito. Nel 1794 riesce finalmente a tornare a Londra. Ottiene faticosamente un prestito di duemila sterline dal padre e con quello si mette in proprio, andando a vivere in un modesto appartamento sopra il laboratorio. E’ l’inizio di una nuova vita. Farmacista di giorno, una o due sere la settimana smette il camice da lavoro e va a Soho. Qui un immigrato irlandese, Bryan Higgins, ha messo su un circolo il cui nome pomposo contrasta con le misere stanzette in cui ci si riunisce: “The Society for Philosophical Experiments and Conversations”. Il giovane Howard si ritrova in mezzo a un vivace gruppo di artigiani, operai specializzati, negozianti, farmacisti. Alla propria condizione di potenziale emarginazione, questi reagiscono trasformandola nella sensazione di trovarsi invece al posto giusto nel momento giusto, pronti a sfidare il vecchiume intellettualistico con la curiosità della nuova conoscenza scientifica. Il loro è “un mondo fatto di conferenze, assemblee, riviste, imbevuto di un potente senso del futuro”. E’ qui che Luke fa uno degli incontri decisivi della propria vita, quello con William Allen. Anche lui un quacchero, Allen è un giovane pieno di energia e iniziativa. Da ragazzo ha smesso di mangiare zucchero per protestare contro la tratta atlantica degli schiavi (diventerà in seguito un fervente abolizionista). Il padre aveva un’importante manifattura di seta ma lui non ha esitato a lasciarla per aprire un laboratorio farmaceutico. Propone a Howard di lavorare con lui: Luke accetta, tanto più che nel frattempo si è sposato con Mariabella Eliot. La consorte è di buona famiglia e mal tollera il modesto alloggio che occupano. L’offerta di Allen gli permette di trasferirsi nell’Essex, con più spazio per la famiglia e per le proprie ricerche. Alla sera, allestisce esperimenti e dimostrazioni a beneficio dei familiari. Il suo nuovo datore di lavoro, come detto, è anche tra i fondatori dell’Askesian Society, dal greco (esercizio, pratica), a sottolineare l’obiettivo di una conoscenza concreta e applicabile. L’Askesian diventa rapidamente un punto di riferimento settimanale per la curiosità onnivora dei suoi membri, che spazia dal galvanismo all’astronomia, dal ventriloquio all’analisi mineralogica.

Si arriva così a quel pomeriggio di dicembre 1802. Un’ora a disposizione di Howard, per convincere gli astanti che c’è spazio per un nuovo filone di studi scientifici, una “nuvologia”, o “scienza delle nuvole”. I membri della Askesian Society non si perdono una sola delle sue parole. La forma delle nuvole, i loro cambiamenti, “il linguaggio del cielo” ha finalmente trovato una classificazione convincente ed efficace. Grazie a questa classificazione diventa possibile registrare le proprie osservazioni meteorologiche, come spiega lo stesso Howard, “con brevità e precisione” e “analizzare le esperienze altrui”. Tra il pubblico c’è un editore, Alexander Tilloch, che ha scommesso con successo sul nuovo fenomeno della scienza popolare. La sua prestigiosa che si pregia di offrire ai lettori “un resoconto tempestivo di tutto ciò che c’è di nuovo e curioso nel mondo scientifico”, è diventata rapidamente la testata di maggior successo commerciale del settore.

Tilloch chiede subito a Howard un saggio da pubblicare (1803). Howard lo arricchisce con splendide illustrazioni – in gran parte disegnate da lui – e una simbologia che consente una rapida annotazione delle formazioni nuvolose. Altri, naturalmente, avevano tentato di arrivare a un simile obiettivo: uno tra gli scienziati che vi erano giunti più vicini era il naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck. Ma questi vedeva ancora le nuvole come entità individuali. Howard, forse grazie anche alla sua passione per la botanica e alla sua esperienza professionale di farmacista abituato a combinare sostanze, le vede come “membri di specie” sulla falsariga delle classificazioni di Linneo. La sua intuizione fondamentale fu che “le nuvole hanno molte forme individuali ma poche forme di base”. La sua classificazione era elementare e basata sul linguaggio universale di quel latino su cui aveva dovuto passare tante ore a scuola. Tre forme di base e e una serie di modificazioni composte e intermedie: Clouds, Philosophical Magazine, Essay on the Modification of cirrus, cumulus stratus, cirrocumulus, cirrostratus, cumulostratus e cumulocirrostratus.

Inoltre, la sua profonda religiosità di quacchero, secondo gli storici, lo portava a intendere la tassonomia come una sorta di “rispettosa classificazione del creato”; una tassonomia che si rivela di grande utilità pratica nella comprensione dei fenomeni, senza al tempo stesso renderli troppo aridi. Contemplando la mutevolezza delle nuvole, il suo sistema permetteva alla natura aerea di mantenere tutto il suo antico fascino, preservando “la bellezza del cielo, così come gli aspetti dinamici del suo mistero”, non scalfiti da “un deciso progresso verso la chiarezza e la verità scientifica”. Da qui lo straordinario successo del lavoro di Howard, oltre che tra gli scienziati, anche tra pittori come Constable e poeti come Shelley, che lo riconobbero subito come fonte di ispirazione. Sono la figlia dell’acqua e della Terra, sono l’allieva del Cielo; passo attraverso i pori del mare e delle spiagge; mi trasformo, ma mai potrò morire. Perché dopo la pioggia, quando la volta del Cielo è immacolata e nitida e i venti e il sole coi convessi raggi levano azzurra la cupola dell’aria, io silenziosamente rido a quel mio cenotafio, e come un neonato dal grembo, come uno spettro dalla tomba sorgo dalle caverne della pioggia e lo distruggo ancora.

Goethe ne è così impressionato da dedicare alle nuvole e allo stesso Howard una serie di scritti, tra cui le osservazioni pubblicate nel 1820, e i versi dell’anno successivo, dove scrive ammirato: “Quel che fermare, raggiunger non si può, Egli per primo, l’afferra e lo trattiene. Determina l’indeterminato, lo delimita. Lo definisce in modo pertinente”. Quando riceve attraverso un intermediario la lettera di Goethe, Howard pensa inizialmente a uno scherzo. Nel 1821 anche la più prestigiosa e austera Royal Society lo accoglie come fellow.

Con la freschezza intellettuale e l’ingenuità spesso tipiche dei dilettanti, Howard seppe combinare competenze e contesti diversi: l’interesse per la meteorologia e la passione classificatoria in campo botanico, lo studio del latino, la sensibilità religiosa e culturale del proprio tempo per il fascino dei fenomeni atmosferici. Non scoprì, né inventò alcunché di nuovo in senso stretto, ma realizzò una sintesi innovativa e duratura di conoscenze ed elementi già disponibili che nessuno aveva saputo collegare e reinterpretare in modo così chiaro ed efficace.

Ormai vecchio e malato, Luke non smette di osservare il cielo. “Al mattino, a mezzogiorno e alla sera, andava a guardare il cielo e i suoi cambiamenti […] le sue descrizioni pittoriche ti facevano vedere quello che non avresti mai visto da solo. Si metteva alla finestra al tramonto, e poi si spostava fino a seguire l’ultimo raggio di luce”. La memoria lo ha ormai abbandonato e non ricorda più neppure termini che lui stesso ha introdotto. Eppure ogni tanto il suo sguardo si illumina, “come se riconoscesse dei vecchi amici”.

Luke Howard muore una sera di inizio primavera, il 21 marzo 1864, all’età di 91 anni. Mentre spira, ascolta la voce del figlio maggiore che gli legge dal libro della Genesi (9: 13-16). “Il mio arco pongo sulle nuvole ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nuvole sulla terra e apparirà l’arco sulle nuvole ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nuvole e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra”.

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