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Il B-24 trasportava 11 uomini quando fu abbattuto, quasi 80 anni fa.

Raggiungerlo ha comportato la ricerca più avanzata mai intrapresa per recuperare residui bellici.

Nella primavera del 1944, la madre del sottotenente Thomas V. Kelly Jr. ricevette una scarna lettera recapitata presso la sua casa di Livermore, in California, che la informava che suo figlio era deceduto. Il suo aereo era stato colpito dal fuoco antiaereo e si era disintegrato in volo durante una missione in Nuova Guinea, scriveva il comandante della Squadra Aerea. “Purtroppo questa è l’unica informazione che possiamo fornire”, si leggeva nella lettera.

Il tenente Kelly e altri 10 uomini erano a bordo di un bombardiere B-24, abbattuto sull’Oceano Pacifico. Quasi otto decenni dopo, i resti recuperati da un remoto fondale marino profondo centro metri sono tornati a casa, ​​negli Stati Uniti: è il risultato di uno sforzo straordinario di parenti, scienziati e militari.

Ma quest’ultimo viaggio è durato 10 anni. Sommozzatori d’élite della Marina americana hanno vissuto per settimane all’interno di una cabina pressurizzata in modo da poter rimanere sott’acqua a lungo e lavorare a profondità elevate. Circa 250 tonnellate di attrezzature sono state recuperate e trasportate in ben 17 container.

Il “Tennyson Crew”, durante l’addestramento negli Stati Uniti nell’autunno del 1943.
FOTO: CONCESSIONE DELLA FAMIGLIA KELLY

Il tenente Kelly e la maggior parte dei suoi compagni avevano più o meno vent’anni quando furono mandati in missione. Il loro bombardiere, con le parole “Heaven Can Wait” dipinte sul naso, è rimasto in frantumi sul fondo dell’oceano per decenni.

Un’improbabile scintilla ha acceso una ricerca per trovarlo.

Un nome

Durante il fine settimana del Memorial Day 2013, Scott Althaus rifletteva su un confuso ricordo d’infanzia. Quando aveva circa 10 anni, sua madre lo portò a visitare il terreno di famiglia in un cimitero a Livermore. Non riusciva a ricordare il nome inciso su una piccola pietra grigia che erano andati a vedere ma ricordava la sagoma di un aeroplano scolpita sotto di essa.

Althaus è ricercatore presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, dove è specializzato nella percezione pubblica della guerra. Sebbene sapesse di avere avuto due parenti morti durante la seconda guerra mondiale, non sapeva molto di loro. Chiese a sua madre se ricordava i loro nomi: lei gli inviò per mail una fotografia del tenente Kelly, suo cugino di primo grado.

Althaus avviò qualche altra ricerca. Il tenente Kelly elencato negli Stati Uniti Army Air Forces nell’agosto 1942, addestrato come bombardiere, fu assegnato alla Tennyson Crew, dal nome del pilota, il tenente Herbert Tennyson.

Il 7 dicembre 1943 la Tennyson Crew sbarcò su un’isola a nord dell’Australia dove le forze alleate stavano combattendo i giapponesi, in quella che oggi è Papua Nuova Guinea.

Althaus ha raccolto quanti più dettagli possibile sugli 11 uomini a bordo di quel B-24. Dieci di loro erano l’equipaggio dell’aereo. Uno era un fotografo incaricato di documentare la loro missione.  

La Tennyson Crew faceva parte del 90th Bombardment Group, i “Jolly Rogers”. Per caso, uno storico dell’unità aveva meticolosamente documentato il loro dispiegamento in un libro e in una serie di documenti conservati in una biblioteca dell’Università di Memphis.

Nel 2015, Althaus coinvolse alcuni parenti e li portò a Memphis. Passarono giorni a setacciare archivi e tornarono con quasi 800 fotografie: diari, mappe, documenti ufficiali dell’esercito. Riuscirono a ricucire una cronologia.

“Heaven Can Wait”, questo il nome dell’aereo, decollò da un aeroporto chiamato Nadzab l’11 marzo 1944, carico di otto bombe da 1.000 libbre. Faceva parte di un gruppo incaricato di indebolire le batterie antiaeree giapponesi in diverse posizioni lungo la costa dell’isola della Nuova Guinea.

Finì sotto il fuoco mentre si avvicinavano al loro primo obiettivo, l’aeroporto di Boram, eppure l’equipaggio riuscì ugualmente a sganciare alcune bombe. Ma quel B-24 era uno dei tre a cui era stato assegnato anche un secondo obiettivo: si staccarono dunque e virarono verso un’area chiamata Awar Point all’estremità settentrionale della baia di Hansa. La visibilità era buona. Poi, udirono l’improvviso ruggito del fuoco nemico.

Il bombardiere B-24 Heaven Can Wait.
FOTO: CONCESSIONE DELLA FAMIGLIA DEL COL. HARRY BULLIS

L’equipaggio di un altro aereo ebbe una visione chiara di ciò che accadde. Heaven Can Wait fu colpito sulla fusoliera e prese fuoco. Tre uomini furono visti cadere ma nessuno dei loro paracadute si aprì. Parte della coda si spezzò e l’aereo, con i restanti aviatori, s’inabissò nelle acque.

Un luogo

A metà del 2017, Althaus aveva finito di redigere un’analisi di 32 pagine che era essenzialmente una “mappa del tesoro”, e conduceva al relitto: era anche riuscito a ritrovare i numeri di serie dei motori e delle armi del velivolo, nonché le caratteristiche distintive del luogo in cui l’aereo era stato visto cadere – questi elementi aiutavano a restringere il campo di ricerca.

Heaven Can Wait probabilmente stava riposando a un quarto di miglio da Awar Point, diceva il suo rapporto. La posizione è così remota che, all’epoca, non la conosceva nemmeno Google Maps (e non la conosce neanche ora – la mappa che segue non proviene da Google!).

Venne formata una squadra di una dozzina di persone, partita nell’ottobre 2017 per le ricerche: il fondale marino fu perlustrato con robot subacquei, lavorando 16 ore al giorno per quasi due settimane.

Due giorni prima della fine della missione, uno dei droni dotati di sensori sonar aveva ispezionato un’area a circa un miglio a est di dove Althaus aveva previsto che si sarebbe trovato l’aereo, rilevando forme che sembravano in effetti far parte di un motore e di un’ala.

Il giorno successivo, un drone dotato di telecamera ad alta definizione fu inviato per dare un’occhiata più da vicino: Heaven Can Wait era stato trovato. Era stato individuato il gruppo di coda dell’aereo, la fusoliera e i detriti delle ali, e identificato le probabili posizioni dell’equipaggio.

Una ruota anteriore di Heaven Can Wait individuata utilizzando un drone subacqueo.
FOTO: Project Recover

Il ritorno a casa

Non è stata semplice, ci sono state molte battute d’arresto: la squadra di sommozzatori iniziale inviata per cercare ordigni inesplosi e per esaminare l’incidente fu fatta rientrare quando un vicino vulcano esplose nel dicembre 2018. La pandemia ci ha poi messo del suo ritardando ancora i recuperi.

Alla fine, con un gruppo addestrato di sommozzatori che per tutta la durata del progetto fu confinata in un ambiente ermetico (una tecnica avanzatissima, estremamente dura per chi la vive), le operazioni di recupero furono portate a termine.

Il relitto era ben conservato, con diverse parti dell’aereo visibili. Sei sommozzatori si sono alternati in turni, utilizzando un tubo che aspirava delicatamente tutto ciò che si riusciva a trovare. Alcune parti di maggiori dimensioni venivano poste in ceste e sollevati in superficie.

Ogni notte, lo capo della missione esaminava il “bottino” – anche alla ricerca di resti umani. Dopo cinque settimane di immersioni furono censiti centinaia di elementi, fra cui “materiale osseo”.

La cerimonia di rimpatrio si è tenuta a Singapore il 2 maggio 2023. I reperti sono stati portati al laboratorio della Defense POW/MIA Accounting Agency vicino a Honolulu, dove gli scienziati forensi cercheranno di abbinarli ai campioni di DNA di ciascuna delle famiglie.

“C’è un tipo di dolore che è difficile da spiegare e di cui non sappiamo molto”, ha detto la Diane Christie, nipote del tenente Kelly: “sapere di aver perduto qualcuno che non hai mai conosciuto veramente, ma poi trovarlo, è stravolgente.”

Hansa Bay, Papua Nuova Guinea, dove Heaven Can Wait e i resti dell’equipaggio sono stati ritrovati.
FOTO: US MARINES
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